sabato 12 febbraio 2011

OMAGGIO AD ALDA MERINI






Il suono dell’ombra


“Lascio a te queste impronte sulla terra / tenere dolci, che si possa dire: / qui è passata una gemma o una tempesta, / una donna che avida di dire / disse cose notturne e delicate, / una donna che non fu mai amata. / Qui passò forse una furiosa bestia / avida sete che dette tempesta / alla terra, a ogni clima, al firmamento, / ma qui passò soltanto il mio tormento”. A chi abbia amato Alda Merini, son questi i versi suoi che di sicuro verrebbero alla mente, se con dei versi si volesse tracciare un profilo di lei, spentasi lo scorso anno nel giorno di Ognissanti. Negletta in vita segnatamente negli ultimi tempi, allorquando le sue condizioni economiche erano diventate assai difficili e il disinteresse generale la circondava, dopo la morte ella è ora al centro dell’attenzione: è la maniera, nient’affatto inconsueta per l’industria, di lucrare su personaggi poco redditizi se non beneficiati da una scomparsa che ne consacri la statura. Tra diverse - e discutibili - iniziative, spicca invece, per necessità e ricchezza, l’antologia che la Mondadori dedica alla poetessa, “Il suono dell’ombra” (“Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe veramente di tenere in pugno, il suono dell’ombra”: una frase da lei scritta durante il primo suo internamento). Nell’ampia introduzione dovuta a Ambrogio Borsani, docente universitario presso l’Università Orientale di Napoli, compaiono - tra lettere, testimonianze e ricordi - i luoghi che han caratterizzato la vita di Alda Merini nella propria città, Milano: dall’abitazione di viale Papiniano ov’ella nasce nel 1931, sino alla casa familiare sul Naviglio, al 49 della Ripa; dal suo matrimonio del ‘54, in Santa Maria delle Grazie, all'affitto dell’appartamento dove sarebbero venute alla luce le prime due figliole; dal ricovero del ‘65, nell’ ospedale psichiatrico Paolo Pini, fino al ritorno sui canali dove - c’informa Borsani - “dagli anni Novanta il suo ufficio è il bar Charly... Si insedia nel locale il mattino, occupa un tavolo, fuma, mangiucchia, beve un caffè, nella sua borsa c’è di tutto”.Il volume riunisce opere comprese tra il 1953 ed il 2009: si va dalle raccolte di poesia degli inizi (“La presenza di Orfeo”, 1953; “Nozze Romane”, 1955; “Paura di Dio”, 1955) fino agli scritti recenti, da “Superba è la notte” (2000) a “Il Carnevale della Croce” (2009). Ci sono inoltre componimenti rari o poco noti, le prose autobiografiche (“L’altra verità”, 1997; “Lettere al dottor G”, 2008 ) che narrano i due lustri passati dalla scrittrice negli ospedali psichiatrici; troviamo, infine, i suoi racconti e le sonate liriche, oltre ad una sezione dedicata agli aforismi. E’ il frutto, questo libro, di uno sforzo reso considerevole da molti elementi, non ultimo il fatto che l’autrice dettò molte delle cose sue in luogo di scriverle e che altre furono affidate alla volatile cura di piccoli editori oppure ad interventi occasionali. Tutta la meraviglia dell’arte sua compare qui, intatta. Scriveva: “Io non so come prende forma / una poesia. / Io prendo il fango / della mia vita / e mi sento / un grande scultore”. Lo era, lo è.

Francesco Troiano

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