sabato 12 febbraio 2011

MODIGLIANI SCULTORE




Agli inizi del 1906 Amedeo Modigliani arrivava a Parigi. Aveva 22 anni, un grande talento e voleva essere scultore. Era un giovane colto e assai "bien élevé": la sua formazione di artista, tutta italiana e legata alla tradizione, dai gotici al pieno ‘500 fino a Fattori e ai macchiaioli, si era svolta tra Firenze e Venezia e poi macinando chilometri nei musei e nelle chiese di tutta Italia. Nella capitale francese, che in quegli anni riuniva il meglio dell'arte del mondo intero, l’artista livornese avrebbe vissuto quasi ininterrottamente fino agli inizi del 1920 quando la tisi e gli eccessi se lo portarono via neanche quarantenne. Dopo quattordici anni tormentati – sfiorati appena dal fuoco delle avanguardie e consumati coltivando il proprio credo estetico fino a imporre il proprio linguaggio visivo unico, seduttivo e controllato - Modigliani era diventato Modì, riconosciuto accanto a Matisse e Picasso come uno dei protagonisti della pittura del Novecento. Tuttavia, già all’indomani della sua morte, il suicidio della giovane compagna Jeanne Hébuterne, incinta del loro secondo figlio, consegnava alla leggenda la storia di quell’artista bello e dannato, geniale ed dissoluto. Poche vite si prestavano come la sua al mito dell’artista maledetto. Gli ingredienti c’erano tutti: la giovinezza, la bellezza, gli amori, il vino, l’assenzio, l‘hashish, il genio incompreso, l’orgoglio, la disperazione, la povertà, la malattia, la morte prematura. Persino il suo nome, Modì-maudit, sembrava contenere il presagio del destino infausto. Presto i racconti e le fantasie crearono sulla figura di Modigliani una spessa cortina di maledettismo e le sue opere cominciarono ad essere oggetto di falsificazione, talvolta con esiti grotteschi. Come fu il caso della clamorosa beffa del 1984 organizzata su uno degli aspetti più misteriosi dell’arte del livornese: la scultura. In alcune lettere risalenti al 1902 Modigliani aveva confessato il proprio "desiderio ardente di diventare scultore" e approdato a Parigi aveva coltivato questa vocazione con straordinario impegno. La passione per la scultura si era rafforzata con la scoperta dell’arte primitiva – un ambito che comprendeva tutto quanto precedeva la civiltà greca, dall’arte dell’antico Egitto e mesopotamica a quelle di Africa, America e Oceania – presente nei musei parigini che più amava: Louvre, Guimet e Trocadéro. Determinante era stato infine l’incontro nel 1909 con lo scultore rumeno Constantin Brancusi, più grande di otto anni e già piuttosto noto. Anche Brancusi, come Derain, Picasso e Matisse, andava in cerca di un nuovo linguaggio depurato e sintetico, capace di cogliere l'essenza della forma e come gli altri campioni delle avanguardie europee, vedeva nelle soluzioni plastiche proposte dall’arte primitiva una preziosa alternativa al realismo occidentale. Per restituire all’opera un senso di autenticità, e in aperta antitesi con la lezione del modellato di Rodin, lo scultore rumeno andava allora sperimentando la tecnica del taglio diretto che aggrediva la pietra a colpi di scalpello. La tecnica conquistò anche Modigliani che tra il 1910 e il 1913-14 si dedicò quasi esclusivamente alla scultura, sognando di creare un Tempio della voluttà sorretto da sontuose figure femminili in forma di cariatidi modellate echeggiando arti "altre" e remote: le maschere africane dagli occhi vacui e l'ovale allungato; l'eleganza suprema della scultura khmer; i volti egizi. Le disegnava furiosamente, sbozzando la pietra quando riusciva a reperire i materiali, finendo per gettare via fogli e pietre se non lo soddisfacevano, malgrado il costo e la fatica fisica. Solo due furono le esposizioni della sua produzione plastica, entrambe curate personalmente da Modigliani: quella del 1911 nello studio del pittore portoghese Amadeu de Souza Cardoso e quella del 1912 al Salon d'Automne dove espose otto teste in pietra. Nell’estate del 1912 Modigliani ebbe bisogno di rimettersi in forze e tornò a Livorno dove continuò a lavorare su delle pietre, “di quelle con cui si lastricano le strade”, che era riuscito a procurarsi. Prima di rientrare a Parigi, le sculture prodotte in quei mesi, su consiglio degli amici livornesi, finirono nel Fosso Reale della città. Poco dopo si chiudeva la breve stagione della scultura, troppo faticosa per la sua salute malferma (e ostica per il mercato), e Modigliani avrebbe dolorosamente ripiegato sulla pittura. Una pittura che attraverso una progressiva purificazione delle forme mirava a rendere l’essenza volumetrica, dichiarando così la propria natura di scultura dipinta. Proprio la leggendaria produzione livornese dell’estate del 1912 fu al centro della beffa ordita da alcuni giovani concittadini dell’artista nel 1984, nel pieno delle celebrazioni del centenario della sua nascita. Per compensare gli sforzi di quanti stavano inutilmente dragando il Fosso Reale della città, dove la mitologia cittadina collocava ancora le sculture di Modigliani, i ragazzi vi gettarono tre teste in pietra simil-Modì, realizzate da loro con un trapano elettrico. Come da copione il ritrovamento sconvolse il mondo dell’arte, all’inizio per la sua eccezionalità, e dopo, di fronte alla prova dell’inautenticità, per l’umiliazione inflitta all’intellighenzia critica italiana che troppo precipitosamente aveva garantito l’autografia dei manufatti. Da allora e fino alla straordinaria mostra allestita al Mart di Rovereto la scultura di Modigliani è stata un tabù insormontabile per gli studiosi. Per sgomberare il campo dalla dubbia mitologia modiglianesca è stato scandagliato ogni aspetto di quella breve stagione di scultura, tra il 1911 e il 1913, operando confronti, studiando le immagini d’epoca e vagliando ogni riferimento formale. Il risultato è una mostra di grande rigore scientifico, i cui studi preparatori hanno portato anche a ritoccare lo storico catalogo delle sculture di Modigliani stilato nel 1965 da Ambrogio Ceroni, l’unico studioso che si sia concentrato sulla produzione plastica di Modì. I 25 numeri - 23 Teste e 2 Cariatidi, 15 delle quali distribuite in musei del mondo intero, le altre in inaccessibili raccolte private o disperse – contati da Ceroni sono diventati 26 quando si è scoperto che lo studioso aveva fuso due “Teste” in una sola. Infine sono state aggiunte altre due teste, tutte suffragate da immagini d’epoca, che hanno portato a 28 il numero delle opere in catalogo. Di assoluta bellezza la rassegna trentina detiene una serie di primati: è la prima sulle sue sculture dal Salon d’Automne del 1912 ed è la prima al mondo interamente dedicata alla sua vicenda di scultore. L’evento, irripetibile per la fragilità delle opere in delicata pietra arenaria, riunisce un terzo del catalogo di scultura di Modigliani grazie a prestiti eccezionali da musei di tutto il mondo.Grande merito della rassegna è l'aver delineato la mappa delle influenze culturali, dei tanti motivi antichi e moderni che contribuirono alla nascita dell’arte di Modigliani. In mostra una ottantina di opere che spaziano dai capolavori del Trecento e del Rinascimento italiano ammirati da Modigliani durante i suoi pellegrinaggi nei musei e chiese d’Italia a quelli di arte egizia, indù, khmer e africana che aveva studiato nelle visite al Louvre, al Guimet, al Trocadéro. E poi le opere dei contemporanei, come Zadkine, Archipenko e Brancusi e Picasso. Accanto alla "Testa" in pietra del 1911 (dal Centre Pompidou) una delle prime sculture di Modigliani è possibile ammirare il "Bacio" di Costantin Brancusi (1907- 1908). Due capolavori di Modigliani, come le teste di Minneapolis (1911) e di Washington (1911-12) posti a fianco del celeberrimo Apollo “Milani” del 530 a. C (dall’Archeologico di Firenze), della "Battista Sforza" di Francesco Laurana (dal Museo del Bargello di Firenze), uno dei busti in marmo più celebri del Rinascimento italiano, e del "Nudo femminile" di Picasso del 1907 raccontano ascendenze e affinità elettive del livornese. Fino alle due teste modiglianesche provenienti da Philadelphia e Londra (1911-12), che testimoniano la fascinazione di Modì per le maschere africane provenienti dal Gabon e dalla Costa d'Avorio. Un'intera sezione allinea una magnifica sequela di disegni di teste, documentando la meticolosa elaborazione di ogni progetto scultoreo dell’artista livornese. Sono volti rigidamente frontali e simmetrici, oppure di profilo, talora associati a motivi architettonici, disegnati con un tratto netto e incisivo e caratterizzati da alcune suggestioni formali – l’allungamento del volto, gli occhi a mandorla, la bocca a cilindro – che l’artista traeva dall'arte tribale e orientale. In chiusura della rassegna due sezioni raccontano il passaggio dalla scultura alla pittura in cui Modigliani trasferisce gli esiti delle sue ricerche sulla linea e sulla resa volumetrica degli anni precedenti, come raccontano i suoi disegni di figure femminili e di cariatidi, fino all’esplosione della pittura nel 1915, rappresentata da una superba sequenza di ritratti.
Modigliani scultore


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