mercoledì 25 maggio 2011

SPAZIO DEI POETI OSPITATI MAGGIO/GIUGNO 2011














POESIE DI IRENE CASCIO








Nella tela del ragno


E scriverò ancora
per districare i pensieri
prigionieri
dei "forse"
dei "se "
dei "perché"

Zampettano sfilacciandosi

Sottilissimi fili
s'incollano e si legano

Batuffoli di ovatta
del ragno
abitatore della tela





Parole d’Amore

Ti parlerò dell'Amore
e di come i desideri
brucino ardentemente
la fragilità dell'anima
nell'attesa che la bontà
del cuore infranga il guscio
e si riveli.
*
Ti dirò pure cosa può
una carezza quando nel
lungo viaggio della vita
i capricci e le sorprese
che il Tempo ci nasconde
come un baro
si manifestano e ti legano
ad un doppio filo
*
Forse così saprai come
tendere la mano
nel gesto del perdono
chiuso da un abbraccio






Amore finto






Come si fa
a fingere l'Amore?
Si finge solo l' amore
quella roba usa e getta
ne prendi tre
ne paghi due.
*
Si finge l'amore
quello consumato nella fretta.
che piega il desiderio
e getta alla malora il sentimento
che vende Pudore
per acquistar pace
*
Nel fuoco i bui pensieri
nel fuoco chi li crea e
chi distrugge
l'Amore
quello vero
che ripaga col sorriso
che non chiede
non pretende
che ascolta nel silenzio
e non possiede













martedì 5 aprile 2011

.: Evaluna!

.: Evaluna!: "il 14 Aprile a Napoli... scaletta della serata: dalla scrittura al disegno, Luca Russo e Cristiano Silvi, autori dei graphic novel '(in)ce..."

sabato 12 febbraio 2011

PIER PAOLO PASOLINI


"TUTTE LE POESIE"

Con i due tomi dedicati a “Tutte le poesie”, si è appena conclusa la monumentale edizione mondadoriana dell'opera completa di Pier Paolo Pasolini, iniziata nel 1998. Va ricordato che quanto apparso nei nove volumi dei “Meridiani” non è ancora, tuttavia, l'intiero della produzione del bolognese: ha più volte avuto modo di sottolinearlo pure Walter Siti, impeccabile curatore dell'impresa, costretto a scelte talvolta drastiche nell'impressionante mole di inediti del Nostro. La prolificità dell'autore de “Le ceneri di Gramsci” (1957) era, come ognuno sa, leggendaria; tanto da risultare, a tratti, irritante, per altri intellettuali meno disposti a mettersi in gioco, sino al punto da indurre costoro ad accusare Pasolini di gusto presenzialista o di compiaciuto dilettantismo (è risaputo, per fare un esempio, che un regista del valore di Fellini negò al cinema pasoliniano ogni grandezza, ad esso imputando un rugginoso ideologismo malamente illustrato dalle immagini).A quasi trent'anni dalla morte, invece, ci sembra di poter riscontrare proprio in codesto frenetico eclettismo la chiave di volta della sua personalità d'artista: nel privilegiare la necessità di esprimersi alle modalità ed ai mezzi di volta in volta scelti per farlo, risiedeva la genialità di un personaggio unico nel panorama del Novecento letterario nostrano, del quale mai si rimpiangerà a sufficienza la prematura scomparsa.Poeta, romanziere, cineasta, saggista e - segnatamente negli ultimi anni - polemista di straordinaria acutezza e verve, egli seppe cogliere con quasi profetica capacità alcune delle linee-guida del cambiamento nella seconda metà del ventesimo secolo: la divaricazione planetaria tra Nord e Sud, ad esempio; e, nel Nord, la progressiva omologazione culturale che avrebbe portato alla formazione d'un universale ceto medio, annullando peculiarità e caratteristiche specifiche dei popoli. Rileggere Pasolini - o, per i giovani, leggerlo per la prima volta - può essere oggi un salutare esercizio di igiene mentale: giovevole, soprattutto, per ricordare il valore del libero pensiero, la fecondità del dubbio e della discussione, l'importanza della passione civile, politica, culturale.

LO STUPORE DEL MONDO DI CINZIA TANI




"Stupor Mundi" è l’appellativo popolarmente usato per riferirsi a Federico II, l’Imperatore di Germania e Re di Sicilia che governò le terre italiane dal 1212 fino all’anno della sua morte, avvenuta nel 1250, nutrendo il desiderio – inconfessabile - di unire in un grande Impero tutti i territori che si estendevano dal Mare del Nord al Mediterraneo. In questo contesto storico è ambientata la storia raccontata da Cinzia Tani nel romanzo "Lo stupore del mondo". Giornalista e scrittrice, ma anche autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici, Tani ripercorre in questo suo ultimo libro un periodo italiano di grandi mutamenti sociali, politici, economici e culturali, attraverso le appassionanti vicende di cavalieri e dame, nobili e gente del popolo, artisti e studiosi, personaggi le cui vite sono legate da sentimenti d’amore e di amicizia, di rispetto e d’odio, e dalla vicinanza a Federico II. La storia comincia con la nascita dei gemelli Pietro e Matteo, che avviene a Trastevere, nell’anno 1201, nella famiglia Graziani, una delle casate più potenti nella Roma medioevale. Durante il parto un improvviso e violento tuono spaventa la nutrice e le fa cadere dalle mani il primogenito, Pietro. La brusca caduta causa una grave deformazione sul volto del piccolo che lo accompagnerà per tutta la vita. Considerato un “mostro” dalla stessa madre Giulia, che reputa quel tuono inaspettato in una serena giornata di maggio un cattivo presagio, Pietro cresce isolato in un’ala del palazzo, lontano dai genitori e dal fratello, che solo occasionalmente si recano a trovarlo, afflitto da tremende emicranie e da un crescente sentimento di rabbia. Dotato di grande intelligenza, il giovane si dedica con passione allo studio di tutte le materie e tiene il corpo allenato svolgendo con costanza duri esercizi fisici, trovando un po’ di pace solo nella meditazione di una vendetta e nel sogno di diventare un invincibile cavaliere. Identico sogno è nutrito dal gemello Matteo che cresce bello, arrendevole e buono d’animo, coccolato dall’amore della sua famiglia, affascinato e al contempo intimorito dallo sfortunato fratello, nei confronti del quale prova comunque sincero affetto. Lontano da Roma, nel rigoglioso e assolato Regno di Sicilia, a Mazara del Vallo vive Flora, una bimba vivace e curiosa, dotata di un prezioso dono: la capacità di ricamare in un modo straordinario. Seguita dalla zia Chiara, Flora riproduce sulle stoffe fin da piccina dei disegni di indicibile bellezza, caratterizzati da vivaci colori e abbinamenti surreali. Anche Rashid, un ragazzino musulmano che parla con gli uccelli, vive a Mazara. Di qualche anno più grande di Flora, stringe con la piccola una forte amicizia, che prescinde dalla loro diversa religione, differenza tuttavia non trascurabile per le rispettive famiglie, le quali tentano di ostacolare il loro rapporto, destinato invece a durare per tutta la vita… Pietro, Matteo, Flora e Rashid sono tra i principali personaggi di questo romanzo. Ma non sono i soli. Ci sono anche le figlie di Filippo Metelli, Marianna e Lucrezia, tanto maestra di intrighi, bugie e malizie la prima, quanto ingenua ed innocente la seconda; Valerio, il giovane fabbro assetato di vendetta dopo aver assistito alla violenta morte del fratellino travolto da un misterioso condottiero a cavallo. Ed infine, c’è Federico II, figura intorno alla quale si intrecciano le vicende di tutti. Ed è lui, l’Imperatore di Germania e Re di Sicilia, nato nel 1194 da Enrico VI e Costanza d’Altavilla, il vero protagonista del romanzo di Cinzia Tani. Lo svevo dai capelli fulvi e dall’ingegno straordinario, poeta e letterato, condottiero appassionato di arti e scienze naturali, "Lo Stupore del Mondo", alla cui Corte accoglieva, senza distinzioni di razza, fede e classe sociale, le personalità illustri del tempo, studiosi e artisti, oltre ai condottieri più valorosi. Federico II governò confrontandosi e scontrandosi con il Papato e la Lega Lombarda, fornendo un esempio di libertà e tolleranza, in un periodo di grande cambiamento caratterizzato dalla contrapposizione di concetti opposti, quali integralismo cattolico e stato laico, superstizione e scienza nascente, dogmatismo, eresie e libero pensiero.

OMAGGIO AD ALDA MERINI






Il suono dell’ombra


“Lascio a te queste impronte sulla terra / tenere dolci, che si possa dire: / qui è passata una gemma o una tempesta, / una donna che avida di dire / disse cose notturne e delicate, / una donna che non fu mai amata. / Qui passò forse una furiosa bestia / avida sete che dette tempesta / alla terra, a ogni clima, al firmamento, / ma qui passò soltanto il mio tormento”. A chi abbia amato Alda Merini, son questi i versi suoi che di sicuro verrebbero alla mente, se con dei versi si volesse tracciare un profilo di lei, spentasi lo scorso anno nel giorno di Ognissanti. Negletta in vita segnatamente negli ultimi tempi, allorquando le sue condizioni economiche erano diventate assai difficili e il disinteresse generale la circondava, dopo la morte ella è ora al centro dell’attenzione: è la maniera, nient’affatto inconsueta per l’industria, di lucrare su personaggi poco redditizi se non beneficiati da una scomparsa che ne consacri la statura. Tra diverse - e discutibili - iniziative, spicca invece, per necessità e ricchezza, l’antologia che la Mondadori dedica alla poetessa, “Il suono dell’ombra” (“Ecco l’unica cosa che mi piacerebbe veramente di tenere in pugno, il suono dell’ombra”: una frase da lei scritta durante il primo suo internamento). Nell’ampia introduzione dovuta a Ambrogio Borsani, docente universitario presso l’Università Orientale di Napoli, compaiono - tra lettere, testimonianze e ricordi - i luoghi che han caratterizzato la vita di Alda Merini nella propria città, Milano: dall’abitazione di viale Papiniano ov’ella nasce nel 1931, sino alla casa familiare sul Naviglio, al 49 della Ripa; dal suo matrimonio del ‘54, in Santa Maria delle Grazie, all'affitto dell’appartamento dove sarebbero venute alla luce le prime due figliole; dal ricovero del ‘65, nell’ ospedale psichiatrico Paolo Pini, fino al ritorno sui canali dove - c’informa Borsani - “dagli anni Novanta il suo ufficio è il bar Charly... Si insedia nel locale il mattino, occupa un tavolo, fuma, mangiucchia, beve un caffè, nella sua borsa c’è di tutto”.Il volume riunisce opere comprese tra il 1953 ed il 2009: si va dalle raccolte di poesia degli inizi (“La presenza di Orfeo”, 1953; “Nozze Romane”, 1955; “Paura di Dio”, 1955) fino agli scritti recenti, da “Superba è la notte” (2000) a “Il Carnevale della Croce” (2009). Ci sono inoltre componimenti rari o poco noti, le prose autobiografiche (“L’altra verità”, 1997; “Lettere al dottor G”, 2008 ) che narrano i due lustri passati dalla scrittrice negli ospedali psichiatrici; troviamo, infine, i suoi racconti e le sonate liriche, oltre ad una sezione dedicata agli aforismi. E’ il frutto, questo libro, di uno sforzo reso considerevole da molti elementi, non ultimo il fatto che l’autrice dettò molte delle cose sue in luogo di scriverle e che altre furono affidate alla volatile cura di piccoli editori oppure ad interventi occasionali. Tutta la meraviglia dell’arte sua compare qui, intatta. Scriveva: “Io non so come prende forma / una poesia. / Io prendo il fango / della mia vita / e mi sento / un grande scultore”. Lo era, lo è.

Francesco Troiano

MODIGLIANI SCULTORE




Agli inizi del 1906 Amedeo Modigliani arrivava a Parigi. Aveva 22 anni, un grande talento e voleva essere scultore. Era un giovane colto e assai "bien élevé": la sua formazione di artista, tutta italiana e legata alla tradizione, dai gotici al pieno ‘500 fino a Fattori e ai macchiaioli, si era svolta tra Firenze e Venezia e poi macinando chilometri nei musei e nelle chiese di tutta Italia. Nella capitale francese, che in quegli anni riuniva il meglio dell'arte del mondo intero, l’artista livornese avrebbe vissuto quasi ininterrottamente fino agli inizi del 1920 quando la tisi e gli eccessi se lo portarono via neanche quarantenne. Dopo quattordici anni tormentati – sfiorati appena dal fuoco delle avanguardie e consumati coltivando il proprio credo estetico fino a imporre il proprio linguaggio visivo unico, seduttivo e controllato - Modigliani era diventato Modì, riconosciuto accanto a Matisse e Picasso come uno dei protagonisti della pittura del Novecento. Tuttavia, già all’indomani della sua morte, il suicidio della giovane compagna Jeanne Hébuterne, incinta del loro secondo figlio, consegnava alla leggenda la storia di quell’artista bello e dannato, geniale ed dissoluto. Poche vite si prestavano come la sua al mito dell’artista maledetto. Gli ingredienti c’erano tutti: la giovinezza, la bellezza, gli amori, il vino, l’assenzio, l‘hashish, il genio incompreso, l’orgoglio, la disperazione, la povertà, la malattia, la morte prematura. Persino il suo nome, Modì-maudit, sembrava contenere il presagio del destino infausto. Presto i racconti e le fantasie crearono sulla figura di Modigliani una spessa cortina di maledettismo e le sue opere cominciarono ad essere oggetto di falsificazione, talvolta con esiti grotteschi. Come fu il caso della clamorosa beffa del 1984 organizzata su uno degli aspetti più misteriosi dell’arte del livornese: la scultura. In alcune lettere risalenti al 1902 Modigliani aveva confessato il proprio "desiderio ardente di diventare scultore" e approdato a Parigi aveva coltivato questa vocazione con straordinario impegno. La passione per la scultura si era rafforzata con la scoperta dell’arte primitiva – un ambito che comprendeva tutto quanto precedeva la civiltà greca, dall’arte dell’antico Egitto e mesopotamica a quelle di Africa, America e Oceania – presente nei musei parigini che più amava: Louvre, Guimet e Trocadéro. Determinante era stato infine l’incontro nel 1909 con lo scultore rumeno Constantin Brancusi, più grande di otto anni e già piuttosto noto. Anche Brancusi, come Derain, Picasso e Matisse, andava in cerca di un nuovo linguaggio depurato e sintetico, capace di cogliere l'essenza della forma e come gli altri campioni delle avanguardie europee, vedeva nelle soluzioni plastiche proposte dall’arte primitiva una preziosa alternativa al realismo occidentale. Per restituire all’opera un senso di autenticità, e in aperta antitesi con la lezione del modellato di Rodin, lo scultore rumeno andava allora sperimentando la tecnica del taglio diretto che aggrediva la pietra a colpi di scalpello. La tecnica conquistò anche Modigliani che tra il 1910 e il 1913-14 si dedicò quasi esclusivamente alla scultura, sognando di creare un Tempio della voluttà sorretto da sontuose figure femminili in forma di cariatidi modellate echeggiando arti "altre" e remote: le maschere africane dagli occhi vacui e l'ovale allungato; l'eleganza suprema della scultura khmer; i volti egizi. Le disegnava furiosamente, sbozzando la pietra quando riusciva a reperire i materiali, finendo per gettare via fogli e pietre se non lo soddisfacevano, malgrado il costo e la fatica fisica. Solo due furono le esposizioni della sua produzione plastica, entrambe curate personalmente da Modigliani: quella del 1911 nello studio del pittore portoghese Amadeu de Souza Cardoso e quella del 1912 al Salon d'Automne dove espose otto teste in pietra. Nell’estate del 1912 Modigliani ebbe bisogno di rimettersi in forze e tornò a Livorno dove continuò a lavorare su delle pietre, “di quelle con cui si lastricano le strade”, che era riuscito a procurarsi. Prima di rientrare a Parigi, le sculture prodotte in quei mesi, su consiglio degli amici livornesi, finirono nel Fosso Reale della città. Poco dopo si chiudeva la breve stagione della scultura, troppo faticosa per la sua salute malferma (e ostica per il mercato), e Modigliani avrebbe dolorosamente ripiegato sulla pittura. Una pittura che attraverso una progressiva purificazione delle forme mirava a rendere l’essenza volumetrica, dichiarando così la propria natura di scultura dipinta. Proprio la leggendaria produzione livornese dell’estate del 1912 fu al centro della beffa ordita da alcuni giovani concittadini dell’artista nel 1984, nel pieno delle celebrazioni del centenario della sua nascita. Per compensare gli sforzi di quanti stavano inutilmente dragando il Fosso Reale della città, dove la mitologia cittadina collocava ancora le sculture di Modigliani, i ragazzi vi gettarono tre teste in pietra simil-Modì, realizzate da loro con un trapano elettrico. Come da copione il ritrovamento sconvolse il mondo dell’arte, all’inizio per la sua eccezionalità, e dopo, di fronte alla prova dell’inautenticità, per l’umiliazione inflitta all’intellighenzia critica italiana che troppo precipitosamente aveva garantito l’autografia dei manufatti. Da allora e fino alla straordinaria mostra allestita al Mart di Rovereto la scultura di Modigliani è stata un tabù insormontabile per gli studiosi. Per sgomberare il campo dalla dubbia mitologia modiglianesca è stato scandagliato ogni aspetto di quella breve stagione di scultura, tra il 1911 e il 1913, operando confronti, studiando le immagini d’epoca e vagliando ogni riferimento formale. Il risultato è una mostra di grande rigore scientifico, i cui studi preparatori hanno portato anche a ritoccare lo storico catalogo delle sculture di Modigliani stilato nel 1965 da Ambrogio Ceroni, l’unico studioso che si sia concentrato sulla produzione plastica di Modì. I 25 numeri - 23 Teste e 2 Cariatidi, 15 delle quali distribuite in musei del mondo intero, le altre in inaccessibili raccolte private o disperse – contati da Ceroni sono diventati 26 quando si è scoperto che lo studioso aveva fuso due “Teste” in una sola. Infine sono state aggiunte altre due teste, tutte suffragate da immagini d’epoca, che hanno portato a 28 il numero delle opere in catalogo. Di assoluta bellezza la rassegna trentina detiene una serie di primati: è la prima sulle sue sculture dal Salon d’Automne del 1912 ed è la prima al mondo interamente dedicata alla sua vicenda di scultore. L’evento, irripetibile per la fragilità delle opere in delicata pietra arenaria, riunisce un terzo del catalogo di scultura di Modigliani grazie a prestiti eccezionali da musei di tutto il mondo.Grande merito della rassegna è l'aver delineato la mappa delle influenze culturali, dei tanti motivi antichi e moderni che contribuirono alla nascita dell’arte di Modigliani. In mostra una ottantina di opere che spaziano dai capolavori del Trecento e del Rinascimento italiano ammirati da Modigliani durante i suoi pellegrinaggi nei musei e chiese d’Italia a quelli di arte egizia, indù, khmer e africana che aveva studiato nelle visite al Louvre, al Guimet, al Trocadéro. E poi le opere dei contemporanei, come Zadkine, Archipenko e Brancusi e Picasso. Accanto alla "Testa" in pietra del 1911 (dal Centre Pompidou) una delle prime sculture di Modigliani è possibile ammirare il "Bacio" di Costantin Brancusi (1907- 1908). Due capolavori di Modigliani, come le teste di Minneapolis (1911) e di Washington (1911-12) posti a fianco del celeberrimo Apollo “Milani” del 530 a. C (dall’Archeologico di Firenze), della "Battista Sforza" di Francesco Laurana (dal Museo del Bargello di Firenze), uno dei busti in marmo più celebri del Rinascimento italiano, e del "Nudo femminile" di Picasso del 1907 raccontano ascendenze e affinità elettive del livornese. Fino alle due teste modiglianesche provenienti da Philadelphia e Londra (1911-12), che testimoniano la fascinazione di Modì per le maschere africane provenienti dal Gabon e dalla Costa d'Avorio. Un'intera sezione allinea una magnifica sequela di disegni di teste, documentando la meticolosa elaborazione di ogni progetto scultoreo dell’artista livornese. Sono volti rigidamente frontali e simmetrici, oppure di profilo, talora associati a motivi architettonici, disegnati con un tratto netto e incisivo e caratterizzati da alcune suggestioni formali – l’allungamento del volto, gli occhi a mandorla, la bocca a cilindro – che l’artista traeva dall'arte tribale e orientale. In chiusura della rassegna due sezioni raccontano il passaggio dalla scultura alla pittura in cui Modigliani trasferisce gli esiti delle sue ricerche sulla linea e sulla resa volumetrica degli anni precedenti, come raccontano i suoi disegni di figure femminili e di cariatidi, fino all’esplosione della pittura nel 1915, rappresentata da una superba sequenza di ritratti.
Modigliani scultore